Uomo e Virus: sono legati reciprocamente?

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dott.ssa Alessandra Drago, tutor di Scienze

Il 2020 è sicuramente un anno particolare e passerà alla storia come l’anno del lockdown, l’anno della pandemia. Siamo stati travolti da un evento di portata mondiale, di cui avevamo esperienze solo teoriche lette nei libri di storia o nelle riviste scientifiche. Ci saremo chiesti tante volte “l’uomo evoluto e tecnologico del XXI secolo poteva mai pensare di dover combattere duramente contro un esserino invisibile chiamato Virus?

Recenti studi hanno evidenziato come la parola “Coronavirus” sia stata il termine più ricercato in rete nel 2020: più di 60 milioni di volte al mese, delle quali 11 milioni di volte solo in Italia. Questo spiega come inevitabilmente le nostre vite, dal bambino all’anziano, dalla casalinga al manager, dal medico al trasportatore, siano state stravolte, cambiando i modi di vivere, incontrarsi, stare insieme.

Ma perché un Virus, comunemente declassato dalla definizione di essere vivente, di grandezza praticamente impercettibile (20 ai 750 nanometri), può provocare una pandemia a livello mondiale così “invalidante” per la popolazione umana, che ha raggiunto livelli di conoscenza tecnico-scientifici molto molto avanzati? La nostra generazione, che sta vivendo e subendo gli effetti della pandemia quasi disarmata, è solo sfortunata nascendo nell’era del Coronavirus o la sua esplosione ha un’origine e una spiegazione più a lungo raggio? Abbiamo fatto qualcosa per accelerarla o favorirla?

Iniziare ad interrogarci su quali siano le conseguenze delle nostre azioni quotidiane per il pianeta e quali potrebbero essere gli scenari futuri, in termini di biodiversità e approvvigionamenti per l’uomo, se continuiamo a vivere come abbiamo sempre fatto, potrebbe aiutarci a comprendere la nascita e l’evoluzione di nuove patologie che si propagano molto velocemente a livello mondiale.

Coronavirus: da dove proviene e cosa è

Il termine Coronavirus si riferisce ad un genere di virus a cui appartengono il SARS-CoV-2, responsabile del COVID-19, ma anche il virus della SARS e della MERS, rispettivamente responsabili nel recente passato di epidemie in Cina (nel 2003) e in Medio Oriente (nel 2012). Sono virus endoparassiti obbligati, cioè organismi che per sopravvivere e per riprodursi hanno bisogno di infettare un organismo ospite per utilizzare le strutture di duplicazione e sintesi proteica.

Questa classe di virus è caratterizzata dal possedere, sulla membrana esterna, delle strutture a forma di corona che rappresentano le proteine superficiali (“Spike”) del virus le quali gli permettono di infettare l’ospite. Inoltre, il loro corredo genomico è formato da RNA, con un tasso di mutazione molto elevato: quando duplica il suo genoma, il virus commette numerosi errori, producendo così genomi altamente variabili e le loro popolazioni sono più numerose rispetto ai virus a DNA. Il loro meccanismo di infezione è talmente violento da «bruciare sul tempo» la risposta immunitaria dell’ospite, inducendo infezioni acute in uno schema on/off (la morte o la guarigione dell’ospite stesso, senza la possibilità di coabitazioni come nei virus a DNA).
Come è noto, il contagio da SARS-CoV-2 nell’uomo potrebbe aver avuto origine nel grande mercato di animali di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, a fine dicembre 2019, dove è pratica usuale il commercio e la macellazione in situ di animali selvatici, come i pipistrelli, in condizioni igienico-sanitarie promiscue e accampamenti molto spartani. Questi fattori sembrano aver favorito il fenomeno dello spillover (lett. traboccare), cioè il passaggio del virus da una specie ad un’altra, in questo caso la nostra.

Ma perché il virus ha l’esigenza o il piacere di passare da una specie animale all’uomo (zoonosi), provocando circa il 70% delle malattie infettive? Di certo, non è assolutamente una scelta consapevole e voluta del virus, che starebbe tranquillo in un organismo dove può sopravvivere con meno fatica (vale anche per il virus il detto: minimo sforzo e massima resa!). Infatti, un virus non ha alcun interesse ad eliminare il suo ospite: è proprio l’ospite che gli garantisce la possibilità di sopravvivere, riprodursi, rifugiarsi. Il virus si evolve parallelamente all’ospite, creando una sorta di legame biologico lungo milioni di anni.

I pipistrelli, per le loro caratteristiche biologiche, sono gli ospiti perfetti per questi virus, tanto da definirli “il serbatoio naturale del virus”. I pipistrelli sono ampiamente presenti nella Cina meridionale e in tutta l’Asia, in Medio Oriente, in Africa fino all’Europa. Le caratteristiche che favoriscono questa “familiarità” con il virus sono la presenza in colonie composte da un elevato numero individui (fino ad un milione di individui in un sito), la loro lunga storia evolutiva, che li ha portati a maturare con molti virus un legame di coabitazione, e la capacità di volare, che li porta a diffondere e contrarre virus su aree molto estese. Recenti ricerche scientifiche hanno rilevato un’elevata corrispondenza tra il genoma del SARS-CoV-2 umano ed il genoma di un coronavirus trovato in un pipistrello nella provincia cinese di Yunnan, sebbene sia stata subito rilevata una differenza tra le rispettive sequenze RBD (Receptor Binding Domain), cioè la sequenza genetica che codifica i recettori che servono ai virus per legarsi alle cellule e penetrarvi. Questo ha portato a pensare che il virus del pipistrello, prima di arrivare all’essere umano, sia passato attraverso un ospite intermedio (ancora non identificato).

Secondo i ricercatori cinesi della South China Agricultural University, a facilitare la diffusione del nuovo coronavirus potrebbero essere stati i pangolini, piccoli mammiferi insettivori, le cui 8 specie esistenti sono tutte a rischio estinzione secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). I pangolini sono gli animali più contrabbandati al mondo per via delle infondate credenze sui poteri curativi delle loro scaglie, ma anche per la loro carne. Sicuramente, la recente decisione della Cina di vietare sul proprio territorio nazionale il commercio di animali vivi a scopo alimentare rappresenta una scelta di fondamentale importanza per contenere l’espandersi della pandemia, ma ancora non sufficiente.

Ma perché esistono i virus?

Molti di noi si saranno chiesti: “Ma a che servono questi esserini se sono solo dannosi?” Se la natura ha evoluto e mantenuto queste forme di vita da miliardi di anni un ruolo ecologico i virus lo hanno di sicuro, altrimenti si sarebbero estinti.
Diversi studi hanno dimostrato che in ecosistemi dove è presente un’elevata biodiversità l’equilibrio tra prede e predatori è mantenuto stabile nel tempo, in modo tale che ogni organismo abbia risorse trofiche e spazio sufficiente per sopravvivere e riprodursi. Se l’equilibrio viene rotto da una causa esterne (soprattutto un impatto antropico), una specie può prevalere sull’altra, dominando sull’ecosistema, con una diminuzione della biodiversità. È in questo momento che intervengono: il virus che preda abitualmente quella specie avrà abbondanza di cibo e così prolifererà, abbattendo la popolazione di quell’organismo.
Quindi dobbiamo pensare come stabile e funzionante un ecosistema diversificato dove coesistono e interagiscono più specie rispetto ad uno poco variegato: i virus, come i batteri patogeni, “controllano” che le varie popolazioni si mantengano in equilibrio intervenendo non appena una prevale sull’altra (effetto Robin Hood).

La pandemia è stata favorita da qualche azione antropica su scala globale?

Tra lockdown e “liberi tutti”, igienizzanti e mascherine da utilizzare, distanze e ordinanze da rispettare, siamo tutti travolti da una serie di input che ci proiettano a vivere questa pandemia nell’imminente e nel corto raggio. L’uomo per sua natura è portato a pensare, progettare e immaginare eventi che sono congrui alla sua scala temporale e spaziale: è veramente molto difficile immaginare cosa ci possa essere nello spazio o come si possa essere evoluta una data specie animale proprio perché sono eventi con scale temporali e spaziali molto più grandi di quella percepita dall’uomo. Certamente le innovazioni tecnologiche proprie del secolo appena trascorso e di quello che stiamo vivendo ci aiutano a ridurre lo spazio e il tempo che separa ogni individuo sul pianeta Terra, facendoci sentire tutti più vicini: in primis pensiamo al Web che ci permette di essere ovunque con un click e ai mezzi di trasporto che ci permettono in pochissimo tempo di raggiungere punti sul pianeta molto distanti. Ma in questo vortice di emozioni e di preoccupazioni circa il vivere l’imminente futuro e per la crisi economica che stiamo affrontando, molto spesso dimentichiamo che ogni nostra azione va ad impattare con il pianeta che ci ospita, causando danni soprattutto a lungo termine.

Il costante aumento della popolazione umana con conseguente degrado ambientale, cambiamenti climatici, eccessivo sfruttamento delle risorse, continuo consumo di prodotti animali sono fattori che provocano una distruzione degli ecosistemi senza precedenti nella storia. Se disturbiamo o distruggiamo la specie serbatoio, andando ad alterare l’ecosistema dove è inserita, possiamo ottenere una propagazione dei virus e batteri presenti che si liberano nell’ambiente circostante e si diffondono come polvere nell’aria. Per un virus, rimanere indisturbato in un serbatoio è molto più facile in un ecosistema con un’elevata biodiversità; al contrario, il disequilibrio ecologico può diventare il fattore scatenante di una malattia infettiva facendo uscire allo scoperto il patogeno che, fino a poco prima, stava riparato nel suo serbatoio. Quindi possiamo affermare che la comparsa delle malattie infettive è correlata, indirettamente, alle azioni umane.

L’epidemia a livello globale che stiamo vivendo ci ha fatto conoscere da vicino la vera realtà di un virus: un esserino che per vivere ha bisogno di infettare un organismo ospite. Nel modo naturale, quando gli equilibri non sono perturbati e quando esiste un’elevata biodiversità ogni virus risiede preferibilmente nella propria specie serbatoio, con la quale ha instaurato una sorta di relazione nel corso dell’evoluzione di entrambi. Ma l’uomo è un organismo che per sua natura tende a rompere gli equilibri presenti negli ecosistemi, imponendo la propria presenza e sfruttando le risorse: una pandemia di portata globale è una possibile conseguenza negativa di tali azioni, i cui effetti si ripercuotono su larga scala, sia temporale che spaziale.
Aver vissuto in prima persona questa esperienza deve lasciare in tutti noi un grande insegnamento: dobbiamo mettere al centro delle nostre scelte uno stile di vita più sostenibile. Dobbiamo iniziare a pensare non solo ai bisogni immanenti e materiali, che servono per la nostra sopravvivenza, ma ritornare ad avere come obiettivo quello di “lasciare alle generazioni successive un pianeta migliore di come lo abbiamo trovato”.

Le politiche ambientali dovranno essere messe in primo piano e dovranno essere prese decisioni che prevedano il risparmio del suolo, la conservazione del paesaggio e una “riconciliazione” tra attività agricola e conservazione della biodiversità.

Bibliografia – fonti (link verificati il 24/11/2020)

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